Pubblichiamo, con l’autorizzazione del presidente del Premio culturale Tonino Nassuato, l’amico e socio Antonio, il componimento del vincitore della 28^ edizione Simone Rigon (che ci ha autorizzato anch’egli). La cerimonia di premiazione si è svolta stamane in sala San Giorgio a Noale. Complimenti a questo ragazzo, eccellenza di testa e di cuore, e a tutti i suoi compagni che hanno concluso la scuola dell’obbligo con il massimo dei voti. Si preparano a diventare nel migliore dei modi i cittadini noalesi di domani. 

TEMA VINCITORE DI SIMONE RIGON (CLASSE 3^ D)

 “A quattordici anni sei un funambolo a piedi nudi sul tuo filo e l’equilibrio è un miracolo”. (Alessandro D’Avenia)

Una frase strana, che alla prima lettura non dice niente, ma in realtà vera e profonda. A quattordici anni sei nel pieno della tua adolescenza e nel paragone si capisce che sei a metà del filo. Non esiste quindi una via di fuga o magari una scorciatoia. L’unica soluzione per arrivare vivo al giorno dopo è il traguardo, il punto di arrivo.

Io, appena ho letto questa frase, ho immaginato me stesso sopra uno di quei fili, senza ausili come imbragature, reti o scarpe, ma io a piedi nudi che conto solo sulle mie forze e cerco di non cadere, perché il vuoto sotto di me è profondo.

Io interpreto questa frase dello scrittore Alessandro D’Avenia come un punto di non ritorno: non esiste il tornare indietro, esiste  solo l’andare avanti perché non si può ritornare indietro nel tempo. Secondo me, egli ha immaginato che il filo fosse tutta l’età adolescenziale e il quattordicenne ci cammina sopra avanzando pian piano, essendo anch’egli adolescente.

Penso a me, alle esperienze fatte, ai miei amici e alle cose che potrebbero succedere. Qui il punto di partenza è l’infanzia, la fanciullezza, mentre il punto di arrivo è l’età adulta.In tutti questi anni, in questo periodo molto difficile chiamato adolescenza, ognuno cerca di trovare una propria identità e un proprio equilibrio all’interno del mondo, perché fino ad oggi siamo sempre stati aiutati dai nostri genitori che ci hanno insegnato come stare in equilibrio e quando cadevamo ci hanno sempre aiutato a rialzarci, spiegandoci come migliorare e stare per più tempo in equilibrio.

Adesso mi viene in mente un altro paragone: io faccio lo sbandieratore e gli esercizi non vengono quasi mai perfetti.Ecco, se gli esercizi non sono perfetti l’allenatore ti insegna come farli diventare così e lo stesso fanno anche i genitori con “l’equilibrio”.Inoltre quando si sbandiera vi sono molte avversità: il sole, il vento…

Queste difficoltà non sono le reali problematiche dei ragazzi, ma possono simularle, e i genitori insegnano loro come contrastarle.Arrivati all’inizio della fune i tuoi genitori non ti lasciano da solo, anzi aspettano che tu arrivi dove sono loro: dall’altra parte, all’arrivo.I genitori ti hanno dato tutti gli strumenti per arrivare dall’altra parte e sta a te decidere se metterli in pratica o no.

Inoltre, per decidere se metterli in pratica o no bisogna pensare che loro quel percorso l’hanno già fatto, ovviamente diverso dal nostro, ma molto simile.Una cosa però è certa: sono arrivati al traguardo.Può anche essere che siano caduti, ma sono riusciti ad aggrapparsi alla fune e a ritornare su.

L’equilibrio, che nella frase D’Avenia definisce un miracolo, per me assume il significato di vivere la propria adolescenza, vivendo sì esperienze nuove, ma non troppo eccessive.L’equilibrio su questa fune inoltre è un miracolo anche per un altro motivo, ovverosia perché l’adolescenza è l’età della precarietà.Durante l’adolescenza si scopre un nuovo senso di precarietà: nuove paure, nuovi sguardi sulla vita…

Questa età è un po’ come quando si mette il primo piede fuori casa, quando non sai fuori cosa ti aspetta e non sai se uscire ancora un po’ facendo un altro passo o se accontentarti di quello che hai visto, sentito e provato e ritornare in casa.E’ anche l’età delle scoperte e delle novità e questo crea la precarietà, perché tutte le esperienze nuove che si vivono quali la prima grande cotta, la prima grande bevuta c’entrano tutte con l’equilibrio.

All’inizio avevo pensato che a far cadere dalla fune fossero determinati fattori negativi, come sostanze stupefacenti, alcool …Ora invece penso che la caduta può essere causata dalle varie avversità che si possono incontrare e che ostacolano la tua camminata.E’ come se tutte queste cose ti si mettessero davanti e ti colpissero per farti cadere nel baratro, nella gola del canyon.

Molte volte  sostanze o bevande ti sembrano una fuga o una scorciatoia dalla  fune e ti fanno salire su una tavola di legno più larga e meno precaria, ma molte volte questa si muove improvvisamente e si spezza lasciandoti cadere.Questa caduta è il punto di non ritorno, il punto dal quale è difficile uscire: le dipendenze e addirittura la morte.

Ovviamente, al contrario, si pensa che la prima grande cotta sia una cosa bella, ma bisogna vedere se dura, perché appena finisce si ha un senso di dolore mortificante.Bisogna resistere a questi dolori: io per ora ce la sto facendo e cammino tranquillamente sulla fune.

Io continuo con il mio funambolismo, passo dopo passo, infischiandomene di quello che mi dicono le altre persone a cui sto antipatico e ascolto solo quelle che mi vogliono bene e mi amano. Ecco qui un’altra parola: “amare”. Molte volte questo verbo è usato in modo improprio solo per far sentire felice l’altro. Quante volte si sentono dire o si leggono dei  “ti amo”, ma dubito che tutte queste persone siano disposte a morire per salvare l’altra, perché è questo che vuol dire amare.

Comunque, ritornando al discorso funambolo, molte volte una rottura di un  fidanzamento, la fine di una grande amicizia, il non essere come si vuole ci portano a fare gesti sciocchi e senza senso.Ho conosciuto un paio di persone che proprio per questi motivi erano depresse e si tagliavano e, dato che a me non piace vedere soffrire le altre persone, ho cercato di farle smettere, e con una ci sono pure riuscito, spiegandole che non aveva senso. Ecco, lei era lì, in un equilibrio molto più precario del mio e con un altro colpo forse sarebbe caduta e non sarebbe più tornata in superficie.

Ormai si è sul filo e bisogna vivere il momento, come dice il vecchio detto “carpe diem”, ovverosia “cogli l’attimo”.Durante il percorso già fatto può essere che abbiamo rischiato molte volte di cadere e addirittura siamo caduti, ma dopo tutto noi siamo ancora qui a vivere la nostra vita giorno per giorno, minuto per minuto ed è inutile guardare gli errori fatti in precedenza a distanza di anni: si riflette subito su quegli errori e si cerca di non ripeterli in futuro.

D’altronde, come dice Lorenzo Cherubini, più conosciuto come Jovanotti, “il passato è passato, nel bene e nel male”.

Il vincitore Rigon con il presidente del premio Nassuato (foto Raffaelle Pellizzon)